Ancorché tutt'altro che perfetto, il francese Faery: Legends of Avalon (2010, Spiders Studio) rappresenta un coraggioso quanto incompiuto tentativo di offrire una variazione sul tema del JRPG di stampo nipponico, mescolato a suggestioni estetiche e letterarie più specificatamente occidentali. La trama è infatti tutta giocata su una difficile missione affidata da Oberon, sovrano fatato di shakespeariana memoria, a un folletto appena risvegliatosi da un sonno misterioso che lo ha tenuto in stato di sospensione per parecchi anni. Tale missione, da svolgersi percorrendo "piani" paralleli ispirati alle più celebri dimensioni mito-fiabesche europee e mediorientali, prevede l'alternanza tra lunghe fasi esplorative e combattimenti (rigorosamente a turni) contro varie entità malvagie che minacciano la sopravvivenza del mondo fantastico. Sul modello di motivi già noti alla letteratura per l'infanzia - cfr. La Storia Infinita - anche in Faery: Legends of Avalon il luogo principale in cui si svolge la narrazione risulta gravemente corrotto a causa dell'influenza nefasta degli esseri umani, la cui grettezza rischia di far scomparire per sempre nella nebbia il magico regno di Oberon.
domenica 1 giugno 2014
sabato 17 maggio 2014
Dmitry Kochanovich (1972-...)
Gli abitanti della Città di Kitezh restano convinti assertori dell'importanza del ruolo sociale e collettivo dell'arte, e ritengono che le manifestazioni di sedicente 'arte contemporanea' - che ingrassano le trippe già rigonfie di un club molto esclusivo di critici e collezionisti - non ricoprano in nessun modo tale fondamentale funzione. Da circa un centinaio di anni, oseremmo dire.
E no, impiantare in mezzo alla strada il grande museo-container dell'archistar di grido, o il monumento costruttivista-astratto - magari anche con la pretesa dichiarata di educare i poveri plebei costringendoli a tollerare linguaggi formali ormai addomesticati dall'industria culturale e svuotati di ogni carica rigenerante - non significa affatto "fare del sociale". Significa essere stronzi.
Ciò premesso, fa molto piacere veder circolare sul web l'opera di Dmitry Kochanovich, originario della costa del Mar Nero e attivo professionalmente da più di vent'anni. Pittore estremamente tecnico, artigianale, dotato di mezzi virtuosistici specialmente apprezzabili nelle sue prove più recenti, presenta un universo figurativo per certi versi ambiguo, la cui qualità appare spesso di difficile definizione.
martedì 6 maggio 2014
Child of Light, o del difficile equilibrio di un'operetta estetica
Supportato da un controllatissimo
battage pubblicitario e dal sempre felice tocco di Yoshitaka Amano
(autore dello splendido poster incluso nell'edizione deluxe), fin
dalla comparsa dei primi video promozionali questo Child of Light
non ha mai voluto nascondere quale fosse il proprio obiettivo:
quello di voler essere, primariamente, una sorta di operetta
estetica.
"Estetica", nella misura in
cui questo gioco fonda il 99% della propria efficacia sulla mera
forma: l'art direction, la grafica, l'aspetto esteriore...
insomma, tutto ciò che al 99% dei casi riesce a determinare il
successo di un videogioco moderno presso il pubblico generalista, e che al
99% dei casi la sedicente 'critica specializzata' accantona quasi con
disprezzo, alla ricerca spasmodica di un contenuto. E qui sta
la vera, a suo modo geniale trovata del gioco: di contenuto, in Child of Light,
non se ne vede nemmeno l'ombra.
Più nello specifico, in Child of Light
tutti gli elementi che in qualsiasi altro videogioco concorrerebbero a definirne il
contenuto (trama, caratterizzazione dei personaggi, gameplay etc.) sono totalmente asserviti alla forma, e non vogliono
- né, tantomeno, potrebbero - sussistere al di fuori di essa. Se gli
sviluppatori Ubisoft non avessero saputo dotare la propria creatura
di quella smagliante apparenza che sta affascinando
critica e pubblico, il gioco non sarebbe potuto sopravvivere in
nessun'altra veste.
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